La nuova rubrica de IlTag.it riflette su ognuno di noi, sul nostro essere sempre contraddistinti da due parti fondamentali: dai vizi e dalle virtù che si scontrano, si incontrano, emergono, valorizzano e identificano il nostro essere al mondo.
Il percorso parte dalla superbia e dai superbi, coloro che scontano la pena nella I Cornice del Purgatorio dantesco, costretti a camminare curvi sotto il peso di alcuni macigni, mentre cantano il Padre nostro. I condannati sono schiacciati da un peso – secondo la legge del contrappasso – perché in vita hanno sempre pensato di eccellere, senza riconoscere gli altri, senza avvicinarsi alla carità e alla solidarietà. Il macigno è metafora del loro sentirsi superiori agli altri; pertanto, ai superbi spetta vivere eternamente ricurvi su se stessi. Quella che vi proponiamo è una riflessione, a riguardo, aperta e condivisa attraverso un dialogo tra Michele Denora e Don Vincenzo Lopano, parroco della Parrocchia di Sant’Agostino di Altamura.
Come definirebbe la superbia e quanto essa, secondo lei, è radicata nelle nostre azioni quotidiane, nelle nostre relazioni e nel nostro modo di vivere?
Come diceva Lewis ne “Il cristianesimo così com’è”, la superbia è all’origine di ogni peccato dell’uomo ed è il fondamento di ogni peccato. La superbia non è il desiderio dell’uomo di diventare Dio, ma è il desiderio dell’uomo di diventare Dio senza Dio, cioè è il desiderio dell’uomo di non aver bisogno di nessuno. La superbia è l’illusione che ha l’uomo di auto-salvarsi, di salvarsi da solo, di non aver bisogno neanche dell’altro. In questo senso, la superbia diviene una serie di comportamenti concreti e di scelte che sono fondate sulla paura del non valere niente, sulla paura del limite che è la paura della morte. La superbia – potremmo dire – è il vizio dei vizi ed è la paura dell’uomo di morire che si trasforma nella facoltà di essere supremo rispetto agli altri, di essere superiore agli altri, di non aver bisogno di niente e di nessuno.
Sicuramente essa è radicata nelle nostre azioni quotidiane e nelle nostre relazioni, ma molte volte le persone superbe sono anche le persone che hanno un atteggiamento nascosto nel vittimismo perché la superbia diventa, in alcune situazioni, il modo di fare agire sempre l’altro, il modo di far esporre sempre l’altro per criticare, giudicare e condannare l’agire altrui. C’è una forma di superbia sotterranea che è l’indifferenza, il non lasciarsi toccare, il far andare l’altro in avanscoperta, stando sempre un passo indietro: è fondamentalmente un modo per restare intatti ed è un modo per salvaguardare a tutti i costi la propria immagine, il proprio successo e la propria gloria.
C’è anche un’altra forma di superbia ed è tipica di chi vive le sue relazioni in un atteggiamento di “non-ascolto” perché mette sempre l’io davanti e vuole che tutto il mondo abbia lui come punto di riferimento. È una forma di superbia legata alla paura di non essere visti, alla paura dell’abbandono, alla paura del non essere considerati dall’altro.
Che cosa teme dalla vita chi è superbo? Di cosa o chi sente la mancanza?
Il superbo teme il non essere riconosciuto, l’indifferenza, ma anche il limite della morte. Egli ha paura di essere dimenticato. A volte le persone superbe si notano perché lasciano tracce dappertutto del loro passaggio, mettendo in evidenza il loro nome, le loro origini, la propria famiglia. “Dopo di me, il nulla”, quindi teme l’incontro e la relazione, l’attività e il cambiamento: la superbia è caratterizzata dall’ostinazione che è l’essere fermi e fissi su un punto, senza cambiare prospettiva, senza guardare dall’altro lato. Infatti, il superbo sente la mancanza di sé stesso perché egli ha paura di perdere il proprio io, avendo sempre bisogno di conferme e di certezze circa la sua immagine.
In che modo, ognuno di noi, può cercare di liberarsi da questo vizio? Lei ha mai conosciuto storie o incontrato gente superba che le ha chiesto un consiglio? Quali possono essere delle strade da perseguire?
Una delle forme più semplici per liberarsi dalla superbia è mettersi in ascolto degli altri, ma anche saper chiedere aiuto. Per questo una delle forme liberatorie della superbia, per il cristiano, è la preghiera che è l’invocazione della presenza di Dio e il riconoscersi figlio di qualcun altro e non autore della propria vita. In Italia è andata di moda, per un periodo, il self made man cioè l’uomo che si fa da sé, modello che ha trovato espressione nel berlusconismo, tipica di quell’uomo che si è fatto terra bruciata attorno. Oggettivamente, questo è un dato che la storia ci rivela: è la concezione dell’uomo che non deve chiedere mai, che non ha bisogno di niente e nessuno, che “si fa da sé”.
In questo senso, De Andrè diceva “la vita non è soltanto una corsa verso la morte, ma la vita è anche una fuga dalla nascita” cioè è la fuga dalla debolezza costitutiva dell’essere nati, dell’aver avuto bisogno di qualcuno che si prendesse cura di noi. Questo rivela come la superbia è il non accettare di essere uomini e molte persone superbe fanno fatica ad accettare il mistero dell’umanità e del tempo che passa: cercano sempre il mito dell’eterna giovinezza, ritrovabile nel narcisismo che vede e vuole vedere solo sé stesso, annegando nell’immagine che si è creato.
Per questo, per potersi liberare dalla superbia andrebbe bene un’eliminazione degli specchi eccessivi in casa. Oggi la nostra cultura esagera molto il narcisismo con la cultura del selfie: la cultura di uno sguardo sempre e solo puntato su sé stessi. Possiamo liberarci dalla superbia facendo un giro negli ospedali o attraverso un servizio rivolto ai poveri.
Di fatto, chi è superbo dice di non esserlo perché un briciolo di superbia, in realtà, ciascuno di noi la porta nel suo cuore. I superbi dicono di non esserlo mentre le persone, che sono consapevoli del proprio desiderio di riscatto, sono quelle che lottano perché la superbia non diventi il vizio per eccellenza, ma sia guarita dalla carità, dal servizio e dal farsi dono agli altri.