Gianni D’Addario è un gravinese di cui andare orgogliosi: 44 anni e un curriculum di tutto rispetto, tra importanti collaborazioni e prestigiosi premi. Inizia la carriera a teatro e nel 2005 debutta sul grande schermo con “Il ritorno del monnezza”. La notorietà arriva grazie al sodalizio con Checco Zalone con cui gira, da coprotagonista, “Quo Vado” nel 2016 e “Tolo Tolo” nel 2020. D’Addario è un attore poliedrico che riesce a passare dal comico al drammatico, dalla tv al cinema.
Di recente ha sfilato sul red carpet della 18° edizione del Roma Film Festival per la presentazione di “Palazzina Laf”, film di Michele Riondino. Il film, in uscita il 30 novembre con BIM Distribuzione, vede protagonisti Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Eva Cela, con Anna Ferruzzo e Paolo Pierobon.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Gianni D’Addario per una piacevole chiacchierata.
Ci parli un pò di lei e del suo percorso professionale
Io sono partito da Gravina che avevo 19 anni per fare una scuola di teatro a Roma, poi qui ho conosciuto un maestro che si chiama Vito Cipolla con cui ho studiato per nove anni. Questa formazione è avvenuta in un teatro che si trova in un paese vicino Roma, Canale Monterano. Di Gravina eravamo in quattro: io, Domenico Laddaga, Terry Paternoster e Donato Paternoster, amici di vecchia data con cui collaboro ancora oggi. Poi sono successe tante cose, dei registi di cinema mi hanno visto a teatro e hanno iniziato a scegliermi. Oggi mi divido tra il cinema e il teatro.
Ha sfilato sul red carpet del Roma Film Festival per “Palazzina Laf”. Che film è e che ruolo intepreta?
Palazzina Laf è un film politico con cui Michele Riondino ha voluto raccontare una storia e dei personaggi di un’umanità straordinaria. Infatti, lo spettatore si riconosce quasi subito e vive a specchio le loro vicende. Palazzina Laf parla di un grave evento accaduto nell’acciaieria dell’ILVA, nel 1997 a Taranto.
Nella fabbrica lavorano un gran numero di operai e impiegati. Caterino (Michele Riondino), uomo semplice e rude, è uno dei tanti operai che lavora in quel complesso industriale. Vive in una masseria con la sua giovanissima fidanzata e sogna di trasferirsi in città. Un giorno uno dei dirigenti, Giancarlo Basile (Elio Germano), lo sceglie come l’uomo giusto per aiutarlo ad individuare quei lavoratori di cui vorrebbe liberarsi. Caterino, irretito dalla promessa di una condizione professionale vantaggiosa, accetta di fare da spia a Basile e viene spedito nella Palazzina LAF, un edificio del complesso in disuso, in cui tutti i dipendenti scomodi sono confinati, privati di ogni mansione, lentamente e cinicamente allontanati dall’azienda. Caterino scoprirà, piano piano, che quella palazzina è un inferno dove le persone vengono confinate per essere distrutte psicologicamente, oppresse da gravi azioni di mobbing.
Scritto con Maurizio Braucci, Palazzina LAF è l’esordio alla regia di Michele Riondino che ha voluto condensare la sua verità sul caso ILVA in una storia vera. Lo stesso Riondino ha indagato sul caso Palazzina Laf, interpellando i diretti interessati che furono, nel 1997, rinchiusi in questo luogo. Sembra un film girato dai grandi registi del passato che si dedicavano alla commedia. Si sorride e ci si commuove tanto.
Il mio personaggio si chiama Franco Orlando ed è uno dei confinati nella Palazzina, ha una disabilità e gli viene proposto un cambio di mansione, da impiegato a manovale, ma lui non accetta questo passaggio perché pericoloso, proprio per via della sua disabilità. Di conseguenza, viene mandato nella palazzina. Di carattere è fumantino solo in apparenza perché nel profondo è un fifone, e si vede. Sia questa ambivalenza che il lavoro sul corpo che ho costruito, ha fatto nascere un personaggio tragicomico.
L’abbiamo vista vestire i panni più disparati. Predilige i ruoli comici o drammatici?
Si, ho interpretato tanti tipi di ruoli, ultimamente mi stanno facendo fare molti ruoli drammatici ma io non prediligo ne l’uno, ne l’altro. Nel senso che li amo entrambi, perché in ogni cosa che faccio ci metto tutto quello che sono io in quel momento. Per me è una continua sperimentazione dell’umanità dei personaggi che incontro, mi piace scoprire la vita che vivono e le storie che raccontano. Sono un curioso.
Gravina non ha più un cinema e solo un piccolo teatro privato. Come mai è difficile, secondo lei, avere luoghi deputati all’arte e contenitori culturali nel nostro paese?
Non solo a Gravina si vive questa inumana condizione, la cultura in generale nel nostro paese è stata abbandonata piano piano dalle persone che vivono le comunità. Ci siamo disabituati alla vita e alla bellezza. Le comunità non vanno più al cinema e a teatro, questi luoghi fanno grandi sforzi per andare avanti. Il discorso è troppo lungo, andrebbe affrontato in altri contesti altrimenti si rischia di cadere nella banalità. Per me la prima cosa da fare è insegnare il teatro nelle scuole. Sarebbe straordinario, darebbe la possibilità alle persone di leggere se stessi, gli altri e la vita, con un’ attitudine più profonda. E di vedere nella cultura e nell’arte uno straordinario nutrimento per l’anima e per il corpo, possibilità che abbiamo dimenticato. Per questo i cinema e i teatri stanno chiudendo. Molti pensano che solo i ristoranti possano dare nutrimento.
Che legame ha con il suo paese d’origine?
Io amo il mio paese perché è lì che è rimasta intrappolata la mia anima, lo vivo a distanza. Lo penso molto e quando mi chiedo chi sono allora la mente mi riporta lì.
Chi pensa di dover ringraziare o a chi si è ispirato nella scelta di diventare attore?
Sono diventato attore forse perché in questo mestiere è racchiusa tutta la mia identità, è un modo di vivere e di agire. Forse era già tutto scritto nel mio DNA. La persona che dovrei ringraziare più di tutte, per questa scelta o cammino qual si voglia, è mio padre. Credo che in lui fosse già racchiusa questa identità che mi ha passato. Non a caso nella mia famiglia, di tre figli, tutti facciamo arte.
Prossimi impegni?
A breve inizio un film con un regista americano, Julian Schnabel, dove farò un piccolo ruolo. A dicembre riprendo con il teatro, uno spettacolo con la regia di Michele Sinisi che andrà in tournée in tutta Italia: “Sei personaggi in cerca d’autore”.